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Immagine del redattoreMassimo Pellegrin

Lo spettacolo

Aggiornamento: 27 mag

Trovo che vi sia una bellezza autentica nel semplice atto di osservare la gente senza alcun pregiudizio o intolleranza.

Il solo tentativo di catturare gli sguardi, i sorrisi, le lacrime e le emozioni, anche quelle negative, che attraversano il volto delle persone è un privilegio senza pari. E ogni incontro, ogni scena quotidiana diventa la potenziale celebrazione della bellezza e della complessità dell'essere umano e dei luoghi che lo circondano. La fotografia permette di raccontare storie senza parole e di cogliere istanti altrimenti destinati a essere perduti per sempre. La verità è che, dietro a ogni scatto, cerco di metterci tutta l'ammirazione che nutro per la vita e per coloro che la popolano. E non c'è niente di più gratificante che condividere questa passione con gli altri.


Ritratto di madre

Non è solo ricerca estetica; è la mia terapia, è il mio personale modo di riconciliarmi con l'interno mondo. Un viaggio che non necessariamente ha bisogno di voli transoceanici, visita ai paesi nel sud del mondo o a spedizioni di fortuna nel cuore di luoghi esotici (comunque sempre desiderati). Mi accontento di un treno regionale, due passi in una qualunque città e una fotocamera in spalla o un cellulare in tasca. La quotidianità sa essere straordinaria come la più impensabile delle esperienze e sa regalare al contempo spizzichi e bocconi di gioia, meraviglia e tristezza; insomma, quell'amalgama incomprensibile, gioioso e terribile che ribolle nelle vite di tutti.


Quando, nei primi anni dell’Ottocento, Thomas Wegwood iniziò a sperimentare gli effetti del nitrato d’argento e le sue reazioni alla luce o quando Niépce studiò l’utilizzo della camera oscura e l’impiego della litografia e dell’eliografia per arrivare al primo storico scatto nel 1826, è chiaro come l’approccio, il bisogno e il concetto stesso della fotografia siano cambiati nel tempo.


Joseph Nicéphore Niépce, Borgogna (Francia, 1826). Tempo di esposizione 8 ore circa.

Louis Daguerre. Boulevard du Temple, Parigi (Francia, 1838). Tempo di esposizione 7 minuti.

Oggi, scattare una fotografia, generalmente e soprattutto con un cellulare, è diventato quasi un monotono atto di routine, privato del suo iniziale senso di importanza, che è principalmente quello di fissare un momento nel tempo. Uno degli aspetti critici è la mancanza di discernimento nel processo fotografico: con gli smartphone, la fotografia diventa talvolta un gesto impulsivo, in cui si scattano centinaia di foto senza una vera riflessione sul soggetto, la composizione e i fini stessi dell'immagine. Questo spesso (anche se non sempre) porta alla produzione di immagini di scarsa qualità e prive di vero significato e valore. La cultura della condivisione immediata sui social media porta a una ricerca ossessiva della gratificazione istantanea, piuttosto che alla ricerca di immagini significative o con velleità artistiche. In questo contesto, il valore intrinseco della fotografica come arte rischia di essere soffocato dalla corsa alla quantità e all'attenzione breve, in sostanza al tutto e subito.

È anche vero che, al contempo, occorre valutare questo fenomeno in modo oggettivo; riconosco che gli smartphone abbiano aperto nuove possibilità creative e in un certo senso democratizzato l'arte della fotografia e che molte persone abbiano trovato ispirazione in questo mezzo di espressione attraverso la fotografia mobile. Ed è anche vero che molti artisti emergenti hanno iniziato la propria carriera proprio con uno smartphone in mano. Quindi, mentre è importante riconoscere i rischi associati alla diffusione della fotografia tramite dispositivi mobili, penso che sia anche fondamentale sottolineare il potenziale positivo che questa tecnologia ha portato nel permettere a più persone di esprimersi e di condividere il loro punto di vista unico sul mondo attraverso le immagini. L'importante sta sempre nel trovare un equilibrio tra la facilità di accesso alla fotografia e il rispetto per l'arte, il processo creativo e la ricerca che la sottendono.


Venezia, ad esempio, in questo è il perfetto palcoscenico da cui attingere a un sacco di storie e che rappresenta il mio territorio di caccia d'elezione. Nella città più fotografata al mondo dove vengono catturate quotidianamente centinaia di migliaia di immagini (forse milioni) da una media di quarantamila turisti al giorno, non è inconsueto vedere persone munite di cellulari, reflex, compatte o mirrorless o qualunque altra diavoleria. Nessuno quindi dà particolare rilievo a un tizio anonimo che si aggira con fotocamera in spalla e che piglia qui e là una foto o due apparentemente a casaccio. Ed è proprio in quei momenti che, potenzialmente, chiunque diventa una comparsa, inconsapevole protagonista di una sontuosa rappresentazione nel bel mezzo di uno dei teatri a cielo aperto più prestigiosi del mondo.

E quindi eccolo qui, lo spettacolo: in quale altro modo chiamarlo?


Budapest, 2020

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