
Questo breve articolo cercherà di dettagliare nel modo più semplice e sintetico cosa si intende per rumore digitale nelle immagini, da sempre spauracchio di tutti i fotografi del pianeta da quando è stato immesso sul mercato il primo sensore che ha traghettato la fotografia chimica verso la rivoluzione digitale. Non si tratta di un articolo destinato a professionisti o amatori evoluti: è un argomento che già conoscono perfettamente e per loro esistono un gran numero di siti, blog e forum altamente specializzati che analizzano meglio e più in profondità questo argomento. Questo post è rivolto principalmente a neofiti e curiosi che desiderino avvicinarsi al mondo della fotografia digitale per comprendere il significato di alcuni termini chiave.
Tecnicamente, per rumore digitale si intende la perdita di dettagli nelle immagini digitali causate da varie fonti di interferenza durante il processo di acquisizione, trasmissione o elaborazione delle immagini. Queste interferenze possono includere segnali elettrici indesiderati,
errori di compressione dei dati, imperfezioni nei sensori delle fotocamere digitali o altre fonti di disturbo. Il rumore digitale può manifestarsi come granulosità, artefatti visivi, perdita di nitidezza o colori distorti, influenzando negativamente la qualità complessiva dell'immagine.
Tradotto in parole semplici, nel momento in cui viene acquisita l’immagine di una scena con una bassa luminosità, la qualità dell’immagine decadrà in maniera più o meno netta rispetto alla stessa scena ripresa con luce abbondante. Il rumore digitale si genera quindi principalmente a causa delle caratteristiche tecniche dei sensori e delle condizioni di acquisizione dell'immagine. Per comprendere meglio questo concetto, è utile accennare al funzionamento dei sensori delle fotocamere digitali e al ruolo della luce.
I sensori di tutte le fotocamere digitali sono costituiti da una griglia di fotositi, che sono essenzialmente piccole celle fotosensibili di forma quadrata che convertono la luce in segnali elettrici. Ogni fotosito corrisponde a un pixel nell'immagine finale. Semplificando al massimo, quando la luce colpisce il sensore, viene generato un segnale elettrico proporzionale all'intensità della luce. Questo segnale viene quindi convertito in un valore digitale che rappresenta la luminosità del pixel. Tuttavia, i sensori delle fotocamere digitali non sono perfetti e possono generare segnali elettrici indesiderati, noti come rumore, anche in assenza di luce. Questo rumore può essere causato da vari fattori, come la temperatura del sensore, la qualità dei componenti elettronici, i processi di amplificazione del segnale elettrico e così via.
In condizioni di scarsa luminosità, il rumore diventa più evidente perché il segnale del rumore diventa relativamente più grande rispetto al segnale utile proveniente dalla luce. Ciò significa che quando la fotocamera deve amplificare il segnale per compensare la mancanza di luce, amplifica anche il rumore, riducendo la qualità complessiva dell'immagine. Questo è il motivo per cui, con poca luce, la qualità dell'immagine può decadere progressivamente, perché il rapporto segnale-rumore diventa meno favorevole e il rumore diventa più evidente.
Le dimensioni contano
A parità di risoluzione (ma non solo), in condizioni di bassa luminosità un sensore con una superficie più grande offre prestazioni migliori rispetto a un sensore più piccolo, e questo per diverse ragioni.
Maggiore raccolta di luce. Un sensore più grande ha un'area maggiore, il che significa che può catturare più luce dalla scena fotografata. In condizioni di scarsa luminosità, la maggiore capacità di catturare la luce permette al sensore più grande di produrre un segnale più forte, migliorando il rapporto segnale-rumore e di conseguenza la qualità dell'immagine. Area più grande significa in sostanza pixel fisicamente più grandi, e pixel più grandi possono quindi raccogliere più fotoni di luce durante l'esposizione, aumentando la sensibilità alla luce del sensore e riducendo il rumore, specialmente nelle aree più scure dell'immagine.
Posto qui sotto un test casalingo normalizzato a 12 megapixels effettuato in condizioni di luce scarsa nel mio salotto, che permette di comprendere con immediatezza quale balzo di qualità si può ottenere con sensori più performanti. Il cellulare sottoposto a test (immagine sopra) non è decisamente un moderno top di gamma e ha qualche anno di vita, ma la stessa cosa vale anche la fotocamera utilizzata per l'immagine sotto. Lo scopo di questa comparativa non è quello di sponsorizzare un brand o un modello di smartphone o fotocamera: la sua finalità è unicamente quella di mettere in evidenza quanto possano essere distruttive le conseguenze di un elevato rumore nelle immagini digitali.

Maggiore dinamica. I sensori più grandi spesso offrono una maggiore gamma dinamica (quella che si chiamava latitudine di posa ai tempi della pellicola), che è la capacità di catturare dettagli sia nelle zone di luce intensa che nelle zone di ombra. Questo permette di mantenere più dettagli anche in condizioni di luce contrastate, come ad esempio nelle foto di matrimonio, dove lo sposo spesso è vestito di nero e la sposa in bianco. Tornando all'immagine precedente, nello scatto in basso è possibile leggere chiaramente i numeri sul display dell'orologio digitale, mentre nell'immagine in alto, ripresa con un cellulare, tutto viene "annegato" in una macchia scura e indistinguibile.
Minore densità di pixel. Con un sensore più grande, è possibile mantenere una densità di pixel inferiore rispetto a un sensore più piccolo a parità di risoluzione. Una minore densità di pixel può ridurre il rumore e migliorare la sensibilità alla luce, perché ci sono meno circuiti elettronici per unità di area, riducendo potenzialmente l'interferenza elettronica. Ad esempio, un sensore full frame da 50 megapixels (full frame significa che il sensore ha la stessa superficie della classica pellicola fotografica 35mm, ovvero 24x36 mm, equivalenti a 864 mm quadrati) e un analogo sensore da 1 pollice con lo stesso numero di punti , avranno dimensioni dei fotositi notevolmente diverse: in questo caso, il lato di un fotosito per un sensore di 1 pollice (tipicamente quello di un cellulare odierno di fascia premium corrispondente circa a 13,2 x 8,8 mm, ovvero ~ 116 mm quadrati) si aggira attorno a 1,50 µ (micron, ovvero millesimi di millimetro, per una superficie totale di ~2.25 µ quadrati per fotosito), quello di una full frame invece a circa 4,50 µ, per una superficie totale per fotosito di ~20.25 µ quadrati). Quindi, sempre nel caso dell'esempio e senza voler essere troppo precisi (non me ne abbiano i pignoli), la superficie di un fotolito del sensore full frame del nostro esempio è di circa 10 volte maggiore rispetto a quella di un fotolito di un sensore da 1 pollice. Ovviamente si tratta di dati di massima da prendere con le molle, e che possono variare in base numerosi fattori (primo su tutti l'elettronica che circonda il sensore vero e proprio, che in alcuni casi può essere significativamente più ingombrante, come si può notare dal disegno qui sotto), ma riescono a dare un’idea degli ordini di grandezza in gioco.

Ecco il motivo per cui, ad esempio, nelle scene notturne, nella gran parte dei casi i nostri cellulari cedono nettamente il passo non solo rispetto alle più moderne reflex o mirrorless, specie se full frame, ma anche a fotocamere datate e tecnologicamente superate.
Sul mercato esistono un gran numero di formati: il più diffuso tra questi, per reflex e mirrorless che si rivolgono più al mercato consumer e prosumer, ha tipicamente una dimensione di circa 23,6 mm × 15,6 mm, con una superficie di circa 368 mm quadrati (è definito come formato APS-C). Qui sotto un semplice schema che permette di valutare le differenze dimensionali tra vari formati. I più piccoli sono quelli che, tranne rare e (molto) costose eccezioni (come il sensore da 1 pollice), si trovano nella stragrande maggioranza dei cellulari oggi sul mercato.

Post produzione. Un sensore di grandi dimensioni, specialmente scattando in RAW (traduzione di "grezzo": è un tipo di formato di file immagine non compresso e senza perdita di dati che memorizza tutte le informazioni catturate dal sensore della fotocamera) e con l'ausilio di appositi software (ad esempio Adobe Camera Raw di Adobe o Digital Photo Professional di Canon) permette il recupero di immagini troppo scure (o troppo chiare) permettendo di utilizzare foto che altrimenti prenderebbero irrimediabilmente la strada verso il cestino. Ecco perché, specie in ambito professionale, questa flessibilità diventa una necessità irrinunciabile. Qui sotto un esempio di un mio scatto (grazie Gianni!) dove, in condizioni di scarsa luminosità, il flash mi ha proditoriamente abbandonato: a sinistra l’immagine è così come è stata catturata dal sensore (decisamente sottoesposta), a destra invece la stessa immagine processata con Canon Digital Photo Professional partendo dal file RAW. L’immagine (sì, assicuro che si tratta della stessa immagine) è stata ripresa con una vecchia reflex dotata di un sensore APS-C di vetusta generazione: con un moderno cellulare o con una fotocamera compatta un recupero di una simile qualità sarebbe stato sostanzialmente impossibile, mentre con una full frame o con una APS-C più recente sarebbe risultato anche migliore, con un rumore inferiore e una gamma dinamica più elevata.

Verso il camerphone
Ora, a costo di contraddirmi (seppur parzialmente), trovo sia giusto spezzare una lancia a favore dei moderni smartphone: inizialmente molto critico verso questo strumento (utilizzato al più come fotocamera di ripiego che restituiva in genere risultati decisamente insoddisfacenti, per non dire inaccettabili), ho dovuto rivalutarlo nel tempo, restando a tratti letteralmente stupito dalla qualità che alcuni devices hanno raggiunto al giorno d'oggi, sia in ambito fotografico che video, anche in condizioni di luce non ottimale o insufficiente. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale (anche se a volte troppo invasiva), di migliorati algoritmi di elaborazione, di una accurata ingegnerizzazione (come zoom periscopici e lenti di maggiore qualità) e degli avanzamenti tecnologici in generale, permettono oggi (anche se appannaggio solo di alcuni modelli premium e ultra-premium), di raggiungere risultati assolutamente impensabili solo pochi anni fa. Magari ne parlerò più approfonditamente in futuro, cercando sempre di mantenere un approccio meno tecnico e più pratico.
Conclusioni
Tirando le somme sull'argomento rumore: a partità di risoluzione, un sensore con superficie maggiore offre prestazioni migliori in condizioni di scarsa luminosità perché è in grado di catturare più luce, ha pixel più grandi e meno "densi" e offre una maggiore gamma dinamica, tutti fattori questi che contribuiscono a generare immagini "spendibili" anche in condizioni di scarsa luminosità. Quindi se vi capitasse di dover scegliere tra una vecchia reflex da 18 megapixels e un cellulare con fotocamera da 50 megapixels per scattare in condizioni di luce critiche, la scelta, dal punto di vista prettamente qualitativo, dovrebbe cadere senza alcuna esitazione sulla prima, potendo contare su fotoliti più grandi, meno "affollati" e su immagini molto più duttili in post produzione. Per i più curiosi, esistono diversi siti che forniscono prove di laboratorio estremamente accurate e rigorose che permettono di valutare e confrontare l'efficienza dei vari sensori: tra i più visitati c'è senza dubbio dpreview.com (più orientato al mondo della fotografia digitale vera e propria anche se con qualche sporadica incursione nel mondo mobile) ma ve ne sono molti altri parimenti validi.
Concludo con un ultimo appunto: l'aumento delle dimensioni del sensore, oltre alla qualità in senso assoluto, presenta indubbi vantaggi sulla profondità percepita, sullo sfocato, sui colori e molto altro. Ne parlerò in un prossimo articolo.
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